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Il musicista ai tempi del COVID 19

Cari amici musicisti (e anche non musicisti),

con questo post esprimo pubblicamente la mia opinione su una questione che in questo ultimo periodo è stata oggetto di discussione durante videochiamate e messaggi scambiati con molti "colleghi".

Il tema non è assolutamente nuovo, ma in questo periodo mette in evidenza un problema che sollevai circa vent'anni fa, ottenendo una moltitudine di consensi a parole, ma poco seguito nei fatti.

Mi riferisco alle condizioni lavorative del musicista professionista, ed in particolare alla sua inquadratura giuridica, ai suoi diritti e a tutto ciò che comporti delle implicazioni con il suo lavoro; ad essere sbrigativi e superficiali si potrebbe liquidare la questione dicendo "il nulla".

Partiamo dal presupposto che tutti abbiamo vissuto l'imbarazzo e il dramma di dover trovare le parole giuste a seguito della classica situazione:

 

DOMANDA: Che lavoro fai?
RISPOSTA: Il musicista

DOMANDA: Capisco; ma intendevo, nella vita, il lavoro che svolgi, quello vero?

RISPOSTA: %&ç*%&%%%&%ç?! (generalmente interiore)

 

Ebbene, come dissi anni fa, questo genere di equivoco l'abbiamo creato noi.

Infatti, non siamo rappresentati legalmente, non abbiamo una corporazione e quindi, tantomeno, una nostra identità definita (non entriamo nel merito della definizione di musicista professionista).

Questa mancanza di regolamentazione espone la categoria alle conseguenze che tutti conosciamo.

Ora sembra che il COVID sia la causa di tutti i mali del settore (mancanza di ristori economici, servizi musicali e serate azzerate ecc...). Ma siamo proprio sicuri che i termini della questione siano corretti?

A questo punto preferisco rispondere proponendovi dei quesiti che mi sono posto molto tempo fa:

  • È corretto accettare ingaggi da personaggi che ti chiedono quanto seguito hai (tradotto, quanta gente mi porti?)
  • È normale proporsi e/o accettare di svolgere servizi musicali per cerimonie o eventi per compensi a dir poco ridicoli?
  • Non è umiliante dover apparentemente idolatrare degli "operatori" nel settore musicale (e specifico "nel" e non "del") per ottenere qualche data con cachet che non superano mai le due cifre, e spesso molto lontani dalla terza?
  • Quali tutele o pretese economiche si possono pretendere dalle istituzioni quando di fatto si è sconosciuti a livello tributario o, nel caso migliore, si magheggia con rimborsi spese o minimi sindacali?

Io, con tutta umiltà e senza la pretesa di avere la ragione in tasca, ho risposto a queste domande da un paio di decenni, con delle conseguenti scelte, anche dolorose.

Chi mi conosce sa che fortunamente sono molto attivo in diversi ambiti, dai concerti di musica classica, all'accompagnamento di cantanti lirici, oltre a produzioni radiofoniche e televisive; situazioni che ho potuto scegliere e che mi appagano professionalmente e umanamente.

Ciò nonostante, con grande rammarico ho praticamente rinunciato a quasi tutte le date nei locali e nei piccoli club, che in passato ho sempre ritenuto fondamentali per la particolare sinergia che si crea con il pubblico.

L'ho fatto per coerenza con me stesso, per difendere la nostra professione e, soprattutto, la nostra professionalità.

Buona Musica a tutti!